
03 Set I traumi infantili: condizionano la vita adulta?
Traumi infantili: quello che succede da piccoli cosa provoca poi da grandi?
I.: Buongiorno e ben trovati con ore 13. Oggi parliamo di un argomento molto importante; purtroppo molti casi di cronaca sono stati rivolti ai minori: parliamo di traumi infantili, di quanto condizionino la vita adulta. Quello che succede quando siamo piccolini cosa provoca poi da grandi? Abbiamo il piacere di avere in studio con noi il dottor Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta. Benvenuto!
D.: Grazie, buongiorno a Voi!
I.: I casi di cronaca negli ultimi tempi ci hanno raccontato spesso di un’infanzia piuttosto martoriata: casi di abusi, genitori violenti che maltrattano i figli…è una società che ci racconta di un’infanzia turbolenta che può poi creare degli adulti stressati, molto ansiosi. E’ così?
D.: Indubbiamente ciascun albero parte dalle radici. Quello che accade nell’infanzia, come si è visto in numerosi studi, diventerà poi un elemento che andrà a condizionare la vita adulta. E’ anche vero che succede così da sempre, da che esiste l’essere umano. Ed è anche vero che succede così non solo per noi esseri umani ma per la maggior parte dei mammiferi. Nell’essere umano in particolare abbiamo diverse possibilità in cui i traumi infantili si declinino poi nella vita adulta. In più abbiamo per fortuna la possibilità di correggerli e risolverli.
I.: Purchè uno ne abbia la volontà..
D.: Anche questo è molto importante. Riconoscere questi aspetti e, una volta intercettati, andare a risolverli il più possibile.
I.: Senta, trauma deriva dal greco ed è qualcosa che davvero sconquassa l’individuo indipendentemente anche dall’età. Lei è d’accordo con la distinzione che fanno alcuni psicologi sul fatto che esistano traumi con la “t” maiuscola e traumi con la “t” minuscola?
D.: La distinzione si fa dietro le quinte per capire se il trauma è avvenuto in una prima infanzia e quindi ha determinato già un disturbo dello sviluppo oppure è avvenuto in un momento in cui le basi erano già gettate e solide. Questo però non deve trarre in inganno perchè non è un giudizio di valore sulla sofferenza che individualmente possiamo trovare rispetto a quel trauma. Quindi ciascuna sofferenza va rispettata perchè singolarmente percepita. E’ una distinzione corretta per noi come approccio clinico.
I.: In questa distinzione di traumi, qual è il valore che ci dice che un trauma è più grave rispetto ad un altro?
D.: Molti vorrebbero che la scala fosse oggettiva ma non è sempre così oggettivabile. La scala la dà la persona, di fondo. Normalmente più è precoce un trauma, più produce danni nella persona, mai danni o la sofferenza li denuncia la persona stessa. Quindi bisogna assolutamente fidarsi del proprio paziente o di chi ci sta raccontando quell’esperienza che ricorda e che a volte egli stesso riconosce essere collegata a un’esperienza ma non ne ricorda il motivo. Quindi bisogna sempre capire come la persona vive un trauma e quante ripercussioni ha quel trauma nella vita di oggi.
I.: Un argomento molto complesso che però ci racconta anche le dinamiche di una società che sta cambiando e forse anche tante cose che succedono e che vengono poi rese note con la cronaca ci fanno rendere conto di quanto sia importante tutelare il bambino. Abbiamo una telefonata. Pronto buongiorno!
T.: Buongiorno. Io quando vedo le donne con il tacco, provo un certo disagio, una sensazione negativa. Come mai?
I.: Allora dottore, può un oggetto turbare così tanto?
D.: Quell’oggetto è stato condizionato nella sua infanzia. Ora non abbiamo avuto modo di capire ma sicuramente c’è stato un episodio dell’infanzia che ha attribuito quel valore all’oggetto. Non è detto che la persona ne sia consapevole.
I.: Gli esperti dicono che il primo trauma sia quando si viene alla luce. Ed il secondo arriva verso gli otto mesi quando si capisce che la mamma c’è e quando me ne separo sto molto male. Sono due traumi che ci portiamo dentro?
D.: Chi lo sa? Non è possibile intervistare in modo adeguato un neonato e non è possibile nemmeno affermare il contrario. Io credo che degli aspetti ci siano perchè a volte ritorna però mi sembra più esaustivo basarci sulla vita dalla nascita in poi. A volte ci sono bambini molto precoci che con questioni più legate al tatto, all’olfatto, alla sensazione epidermica soffrono la distanza con la mamma, quindi anche prima degli otto mesi. Chiaramente poi c’è tutto quel complicato meccanismo di allattamento, di calore e di emotività che si riceve dalla mamma che diventa fondamentale. Tant’è che molte regioni spingono molto a livello sanitario l’allattamento, proprio perchè questa sorta di sicurezza è vista essere molto utile al sistema immunitario, sia da un punto di vista chimico-biologico che dal punto di vista dell’attaccamento del bambino.
I.: Cioè innalza le difese immunitarie ma anche psicologiche dell’infante.
D.: Si crea un canale biologico, perchè effettivamente il latte materno ha delle proprietà, ma anche il tipo di attaccamento diventa qualitativamente alto; quindi molto probabilmente, se non accadono traumi, sarà un adulto sicuro, con una base solida.
I.: Come faccio a definire un trauma? Quand’è che nasce? Quindi dobbiamo stare attenti anche a cosa raccontiamo ai bambini perchè poi da grandi si possono sviluppare delle turbe non indifferenti..
D.: Chiaramente la quantità fa la differenza. Un racconto ripetuto quotidianamente ad un bambino per 4 anni facilmente diventa un aspetto pseudo-traumatico. Se è un racconto occasionale non accade nulla, diventa parte dell’esperienza e il bambino ha modo di elaborarlo. Invece laddove c’è ripetizione, tende ad imprimersi nella memoria.
I.: Dicono che le favole possono causare dei grossi traumi, perchè poi sono ripetute… Dottore, parlava prima di questi traumi che si possono anche generare da racconti orali che avvengono attraverso la famiglia. La cosa più preoccupante è quando il trauma che si ha subito tocca anche la generazione successiva. Questo è più grave
D.: La gravità è sempre relativa alla persona che l’assorbe. Come dire, nulla è velenoso di per sèma bisogna vedere la quantità. C’è in un certo senso una trasmissione trans-generazionale, cioè proprio attraverso le generazioni di alcune fobie ad esempio, come la fobia del rimanere soli piuttosto che altre. Questo perchè in alcuni casi ci sono stati traumi familiari antichi che vengono raccontati oppure vissuti in parte e poi tendono a riverberarsi. Normalmente è stato visto che già in terza generazione si subiscono danni abbastanza forti, la seconda potrebbe cavarsela in un certo senso e la prima è quella che magari ha subito. Al di là di questi studi longitudinali, bisogna tener conto dei racconti frequenti che facciamo ai nostri figli perchè loro imparano. Quindi è come se avessero vissuto quello stesso trauma che hanno vissuto i nonni, gli zii e le altre generazioni. Devo dire che nella pratica quotidiana io vedo ancora in un certo senso i danni della guerra, perchè è come se da una generazione all’altra si stia esaurendo ora l’aspetto traumatico di sofferenza.
I.: C’è una telefonata: pronto buongiorno!
T.: Buongiorno. Volevo chiedere al dottore una cosa: si sente tanto parlare di violenze da parte delle maestre, delle educatrici nelle scuole. Queste violenze che danni possono fare ai bambini? Perchè io immagino che quello sia un trauma notevole. Cosa si può fare per risolvere questi traumi?
I.: In effetti se ne parla molto; bambini costretti dalle maestre a mangiare il cibo che avevano rigurgitato, oppure come ad esempio il bambino di colore messo dietro la lavagna dicendogli “sei brutto!”. Sono traumi forti..
D.: Questi sono traumi forti perchè hanno anche un contesto pubblico, per i bambini si instaura anche la vergogna che poi nella vita adulta è uno degli elementi più difficili da rimuovere per vivere bene. Al di là di questo, cosa bisogna fare? Intanto cogliere i primi segni. I bambini danno sempre i primi segnali con il sonno, con l’appetito, con comportamenti diversi dal solito, con il mutismo, con qualcosa che vediamo fuori dal normale. Laddove si riesce ad instaurare un dialogo con il bambino, bisogna provare sempre a chiedere. La prima terapia è sempre quella che fanno i genitori perchè se il bambino riesce ad aprirsi dopo questi segni va benissimo. Poi bisogna vedere di sviluppare un pensiero concreto su questo, cioè “cosa vuoi fare? Cambiamo scuola, parliamo con l’insegnante?”. Prendiamo provvedimenti noi adulti, cioè “ti facciamo sentire protetto”. Se il bambino non vuole aprirsi con i genitori è bene andare da qualche specialista, in modo che prima si vede la famiglia e si capisce come progettare al meglio il percorso da fare e poi entrare in punta di piedi con il bambino e vedere di aprire un po’ la questione. Chiaramente ne soffrono di più i bambini che hanno già una ferita in tal senso. Una ferita generazionale fa reagire peggio alla maestra violenta.
I.: Telefonata da casa. Pronto buongiorno! Buongiorno! 10 anni fa circa, una signora nostra parente era in procinto di partorire, ma nessuno si decideva (è presto, non è ancora pronta…). Alla fine il medico si è arrabbiato molto perchè non è stata monitorizzata bene e poi hanno dovuto farle il taglio cesareo. Quindi il primo trauma andrebbe evitato facendo a tutte le signore il parto cesareo; perchè dobbiamo far fare al bambino questo trauma derivante dal parto naturale?
I.: L’Organizzazione Mondiale della Sanità incita invece tutti i Paesi ad evitare il parto cesareo, cosa ne pensa Lei dottore?
D.: Chiaramente si promuove il parto naturale perchè di fondo è un aspetto naturale della vita; grazie a Dio al giorno d’oggi la mortalità è ridotta in modo drastico, Il parto cesareo ha altri aspetti, altri costi d’intervento. Hanno fatto nascere Cesare sembra per la prima volta così, non è detto che tutti debbano nascere così. Per fortuna c’è una gran parte di popolazione che con il parto naturale nasce bene, è uno dei traumi con la T minuscola.
I.: Abbiamo un’altra telefonata. Pronto buongiorno!
T.: Buongiorno! Nel caso in cui un bambino subisca un intervento chirurgico importante che traumi ci possono essere un domani nella vita adulta?
I.: Quanti anni ha Sua nipote se possiamo permetterci?
T.: La bambina ha 5 anni.
I.: Ed è stata ospedalizzata tanto? Così riusciamo a capire..
T.: Ha avuto un intervento abbastanza importante, poi l’ospedalizzazione non è stata lunghissima, 10-15 giorni, però poi ha dovuto fare i vari controlli di routine.
D.: Certo. Tranquillizzo la signora sul fatto che non è detto sia traumatico l’intervento o l’ospedalizzazione. Può essere difficile, questo dipende molto da come il bambino lo vive. Chiaramente la vicinanza di quelli che sono chiamati oggetti transazionali, che sono le sue cose, quelle che fanno sentire il bambino a casa, e la presenza dei familiari sono molto importanti.
I.: Grazie per averci chiamato. Allora dottore, è un aspetto molto interessante perchè per un bambino dover fare un intervento e dover rimanere poi in ospedale è importante..
I.: Adesso la bambina ha già fatto l’intervento, quindi la signora ha paura che le sia rimasto un trauma.
D.: Qui bisogna osservare direttamente la bambina: ha cambiato abitudini, cita il trauma, quando disegna fa riferimenti continui. Se questo avviene allora probabilmente c’è bisogno di andare ad aprire un po’ di più la questione intanto con il pediatra, sentire un consiglio da lui. Se non ci sono questi segni si può parlare apertamente in famiglia dell’intervento e sgretolare questa pietra un pochino alla volta, forse se non dà segni non è stato grave.
I.: E’ come se se lo fosse un po’ dimenticato.
D.: Sì, è come se lo avesse inglobato in una memoria non traumatica. I traumi vanno a porsi in una rete neuronale che stimolano, se importanti, una reazione nel cervello. Quella di allarme.
I.: Quindi, signora, è importante che la bambina venga monitorata provando a parlarne con la bambina. E se la bambina non affronta?
D.: Io ne parlerei con la bambina, se non ne vuole proprio parlare potrebbe essere anche un campanello d’allarme.
I.: Telefonata da casa. Pronto buongiorno!
I.: Ma lo fa anche a casa con i suoi genitori?
T.: Sì, è pieno di paure anche là. Non era così da piccolo.
I.: Da quanto è così signora?
T.: Saranno tre anni. Da quando aveva sei anni. Fa le elementari ed è uno dei bambini più bravi. Non serve neanche aiutarlo nei compiti. Lui ha tutte queste paure.
I.: Signora, ora noi cerchiamo di farLe dare una risposta, subito dopo la pubblicità.
T.: Io devo chiedere un’altra cosa: io ho un nipotino che si sente in colpa per i problemi dei genitori e io non so cosa dirgli. Ha 14 anni.
I.: Le faccio dare una risposta dopo la pubblicità.
I.: Come promesso rispondiamo alla signora di prima che ha due nipoti, uno di 9 anni che è sempre impaurito e la segue ovunque, spegne la televisione, l’altro invece si sente in colpa per i litigi dei genitori
D.: Per quanto riguarda il primo bambino di 9 anni c’è una questione sull’autonomia: in generale per lui l’autonomia è difficoltosa perchè teme di fare le cose da solo e quindi bisogna lavorare attraverso la mamma e il papà in modo da creare a lui una situazione di base più sicura, perchè i bambini sono tutti simili ma hanno tutti bisogni diversi in quantità diverse. Quindi io partirei da lì perchè qui siamo già ad una reazione fobica, di paura di questo bambino, siamo già un po’ avanti con il discorso. Mi stupisce che abbia una buona autonomia scolastica, come se lui compensasse dall’altra parte però bisogna anche capire se ha avuto qualche esperienza traumatica che ha fatto innescare tutto.
I.: E sulla storia della televisione dove dice “Spegni, troppe brutte cose!”, è una frase da adulto o da bambino? L’ha maturata lui o gli è stata data?
D.: Qui il dubbio è lecito. Sembra una frase un po’ da adulto però anche lì bisogna aprire un dialogo con lui.
I.: E come fa la nonna ad aiutare i genitori?
D.: La cosa più semplice, chiedere direttamente “Ma questa frase l’hai già sentita da qualcuno? L’hai inventata tu? Pensi che anche la mamma e il papà abbiano queste paure? O la maestra?” Cioè le figure di riferimento se hanno trasmesso. Se non è questo il punto bisogna cercare quale esperienza lo abbia condotto a quel tipo di paura lì. Perchè la paura intanto è una reazione funzionale, ci tiene distanti da quello che sentiamo minaccioso. Questo bambino esplora poco l’ambiente anche quello che conosce, quindi si aspetta qualcosa di improvviso.
I.: Quindi bisogna renderlo più autonomo e parlare con lui. Invece per l’altro nipote che si addossa tutte le colpe cosa può fare la signora?
D.: Mi stavo chiedendo a cosa ha assistito quel bambino perchè noi sappiamo che i bambini come prima reazione anche ad un banale litigio tra i genitori pensano sia colpa loro. Il bambino tende sempre a porsi centralmente rispetto all’universo. Bisogna vedere però perchè lui continua ad avere questo senso di colpa. Quindi io direi prima che ciò diventi una sua caratteristica di personalità stabile, provare anche lì ad aprire con i genitori un dialogo.
I.: La signora diceva che il bambino con il padre ha una situazione conflittuale…
D.: Forse è spaventato da quello. Bisogna stare attenti perchè la stessa sgridata che noi possiamo dare a due bambini, a due fratelli figli nostri, su uno ha un effetto, sull’altro un altro.
I.: Quindi signora faccia parlare questi nipoti il più possibile, trovi un dialogo con cui parlare, con cui relazionarsi e veda se magari Le danno qualche informazione in più. C’è una telefonata da casa. Pronto buongiorno!
T.: Buongiorno! Per esperienza so che i bambini innanzitutto devono essere desiderati. Il desiderio di un padre e di una madre e non di uno solo di loro è un handicap per i bambini perchè i bambini nascono con l’amore. Io ho cresciuto due figli di una madre che insomma era un po’ inesistente e quindi so cosa vuol dire e vorrei che il dottore facesse capire alle nuove generazioni che un figlio non è un giocattolo, non è un modo per tenersi qualcuno vicino, specialmente un uomo, perchè la donna è molto manipolativa. Mi spiace dirlo perchè io difendo le donne ma le donne pulite, serie e oneste. Ma le donne che vogliono acquisire una situazione matrimoniale o economica, scusatemi, io non le voglio.
I.: Allora, adesso Le faccio dare una risposta dal nostro dottore Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta. Dottore, la signora ha posto l’accento su una questione importante che è il trauma del figlio che non è desiderato. La signora dice che ha cresciuto due bambini che non sono figli suoi.
D.: Senza dubbio introduce un discorso molto bello e molto ampio, cioè il desiderare o meno i figli. Non è una cosa da poco perchè il desiderio poi diventerà la motivazione per sopportare i momenti di crisi, le loro paure, i loro disagi e quindi dar loro modo di crescere sempre in un ambiente protetto e sicuro perchè la sicurezza crea moltissime belle caratteristiche nelle persone. Laddove la mamma soprattutto, che è il primo universo del bambino, fa mancare questo perchè magari lei stessa è in una qualche difficoltà e dalla gravidanza non è proprio motivata, si crea una situazione difficile, non solo per loro due, per il loro micro-universo, ma per tutte le persone che gli stanno intorno, quindi il papà, i nonni, i parenti. Una gravidanza non desiderata non può produrre nel tempo una persona sana, serena. Raramente si è visto svilupparsi una persona serena da una gravidanza buona ma da una madre che a volte non ha fatto proprio quello che ha dovuto. Qui c’è una speranza, nell’altro caso no. Non desiderare una gravidanza ha persino una ripercussione sul piano biochimico perchè una madre depressa che affronta una gravidanza genera qualcosa di biochimico nel feto, quindi bisogna stare attenti già dall’inizio.
I.: Senta, parliamo di un trauma buono.
D.: Allora, non lo chiamiamo trauma ma l’esperienza buona è quella che nel ricordo di tanti diventa “quella volta che mia madre o mio padre… o quella volta che la maestra mi ha detto bravo davanti a tutti”; chiamiamola con un po’ di giocosità un trauma buono, che dà molto coraggio. Poi è sempre un argomento di discussione con gli altri, ne parliamo volentieri ed ha un processo a livello neurologico simile nel senso che da una rete neuronale che mantiene un ricordo fa innescare una reazione in una certa area del nostro cervello, quella del piacere. Al contrario, un trauma vero e proprio nella rete neuronale si ripercuote sul sistema limbico che è una parte molto istintiva del nostro sistema nervoso centrale la quale poi crea i problemi e porta le persone alla cura.
I.: I traumi infantili provocano tante situazioni diverse quando siamo adulti: c’è l’inibizione, il rifiuto dei complimenti (le cito cinque caratteristiche che sono state riscontrate), il fatto di scusarsi costantemente, il fuggire dal conflitto o il vivere in esso. Quindi ci sono delle dinamiche che portano poi a tipizzare il trauma da adulto. Ne parliamo dopo la telefonata da casa. Pronto buongiorno!
T.: Il mio trauma è aver avuto una madre che mi picchiava dicendomi “tu non conti nulla, non sai mai nulla, i tuoi fratelli sono migliori di te” e via discorrendo. In pubblico si faceva vedere carina e diceva “ah, se non ci fosse lei!” però quello che subivo io a casa non lo sapeva nessuno; lei diceva che tanto nessuno mi avrebbe creduto. Anche da sposata ho preso qualche mal rovescio e lei ha sempre detto “Te lo meriti perchè tanto ti ho abituata fin da piccola!”. La cosa è stata pesante, lei era una doppia faccia tanto più che se adesso ne parlo la gente non mi crede.
I.: Lei ha dei figli?
T.: Sì, ho avuto dei figli.
I.: Ed è una mamma molto diversa, giusto?
T.: Sì, spero di essere stata diversa.. Però questa cosa che è stata relegata nel mio intimo per anni e anni adesso è venuta fuori ma ormai è passata.
I.: Invece no signora, ne parli e continui a parlarne, cosa dice dottore?
D.: Mi tocca questa situazione perchè spesso mi capitano casi analoghi in cui i bambini vengono continuamente riempiti di un sacco di frasi molto sconfortanti, quindi si va a ledere precocemente l’autostima. I bambini non hanno modo di dirlo come la signora perchè le capacità manipolative della mamma sono sempre più forti e quindi si crea veramente un dolore fortissimo. E’ stata bravissima la signora che ha condotto mi sembra di capire una vita tranquilla con i figli, ma in genere una situazione di questo tipo può tranquillamente portare a tossicodipendenze, a problematiche psichiatriche gravi perchè questo è un attaccamento disorganizzato con la madre la quale è estremamente ambivalente e quasi bipolare. Questi episodi, nonostante trascorrano gli anni, non passano lì dove non vengono trattati e comunque sono un ricordo che rimane.
I.: Quindi signora ne parli così magari capisce che non ha fatto nulla di sbagliato lei.
D.: Potremmo definire l’ultima telefonata una forma di violenza sia verbale che fisica. Direi che intanto parlarne sia un passaggio importante.
I.: Avevamo detto prima che questi traumi che condizionano la vita da adulto fanno sì che ci siano cinque tipologie di atteggiamento da adulti: l’inibizione, l’irascibilità, il rifiuto ai complimenti, lo scusarsi costantemente, il fuggire dal conflitto o il vivere in esso. Il primo è l’inibizione, persone cioè che sono sempre intimorite.
D.: Chiaramente viene a mancare la sicurezza per esplorare l’ambiente, così avviene nell’infanzia e il riflesso nella vita adulta è che le persone rimangono inibite fortemente.
I.: E come si fa a superare questo?
D.: Intanto andando a comprendere in che modo l’autostima potrebbe ricaricarsi ed intervenendo sulle questioni specifiche dove la persona in fondo sa che sta accettando un mondo che non le piace.
I.: Prendiamo una telefonata, pronto buongiorno!
T.: Io ho un bambino di dieci anni che fin da piccolo ogni tanto ha bisogno di concentrarsi su qualcosa, che sia un gioco o una matita, sia quando sta studiando che quando semplicemente gioca, gesticola e parla con questo oggetto.
I.: Ma il bambino conduce una vita normale? Fa i compiti, va a scuola…
T.: Sì sì normalissima.
I.: Le faccio dare una risposta dal nostro neuropsicologo Michele Canil.
D.: Non bisogna spaventarsi dell’amico immaginario o dell’oggetto perchè è creatività del bambino. Avrei due domande: capire se la parte di socievolezza del bambino è presente e quali sono i contenuti i questo rapportarsi all’oggetto. Se il bambino non ha socialità vuol dire che sta convogliando lì per evitare la possibilità di essere ferito perchè gli esseri umani ribattono ciò che diciamo.
I.: Quindi lei dice che il bambino si concentra su questo oggetto perchè ha paura di entrare in contatto con altre persone, quindi potrebbe essere successo qualcosa?
D.: Potrebbe essere questo. Quindi potrebbe cercare di aprire un dialogo con il figlio, anche se queste cose difficilmente si risolvono in casa, sarebbe pertanto auspicabile rivolgersi a qualche figura. Un’altra cosa che mi viene in mente, potrebbe essere utile che i genitori comincino a portare il bambino a socializzare essendo magari loro presenti per provare ad avviarlo. Anche questo tipo di sperimentazione è meglio farla lì dove ci sia qualcuno che li segua.
I.: Manca poco alla chiusura ma volevo affrontare l’argomento dell’irascibilità: affrontare l’irascibilità del genitore potrebbe portare il bambino ad essere iracondo da adulto.
D.: Iracondo anche nel caso in cui ci sia uno dei due genitori che non gli dà mai ragione o che manipola i discorsi per cui lo fa sempre sentire in torto per cui lì sicuramente diventerà iroso nella vita adulta.
I.: Poi il problema è il rifiuto dei complimenti perchè non si è mai stati abbastanza bravi. Cioè se hai preso 9 o 10 hai fatto il tuo dovere. Il che può essere anche sano ma se è sempre così può essere dannoso.
D.: Questo può anche trasportarsi sull’aspetto fisico perchè a livello simbolico la persona sente di non essere più stimabile, il che soprattutto nelle donne comporta una forte insicurezza sul proprio aspetto. Facilmente possono sfociare in problematiche alimentari come anoressia, bulimia…
I.: Un’altra cosa che succede è scusarsi costantemente, la paura di ferire continuamente gli altri.
D.: Normalmente bisogna puntare su quanto la mamma ci ha fatto sentire apprezzati perchè lì è spesso il timore di perdere una persona, ci si scusa per la paura di perdere la relazione perchè ci sentiamo inadeguati. Anche qui c’è quindi qualche trauma alle spalle.
I.: Poi c’è il fuggire dal conflitto o il vivere in esso.
D.: Anche questo si arriva a fare pur di non perdere attendibilità da qualcuno che riteniamo importante. Diciamo che riguarda sempre il timore di perdere una relazione e deve sempre far pensare a quella materna o paterna in linea di massima.
I.: Quindi facciamo sempre attenzione ai nostri piccoli e se abbiamo subito dei traumi è sempre meglio parlarne.
D.: Parlarne in modo che qualcuno ci allunghi una mano e ci aiuti.
I.: Siamo arrivati alla fine di questa trasmissione piuttosto impegnativa e densa. Io ringrazio tutti quelli che hanno chiamato e raccontato la loro storia. Grazie al dott. Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta, per essere stato con noi. Grazie e arrivederci.
Opera nelle città di Vittorio Veneto, Conegliano, Treviso.
Psicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologia, Ipnosi clinica – Centro EMDR Treviso
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