Le relazioni giovanili: come cambiano | Michele Canil
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Le relazioni giovanili

Relazioni giovanili. Come cambiano in epoca di covid

Le relazioni giovanili

“Giovani di ieri e di oggi: come cambiano LE RELAZIONI”. Intervista di Antenna 3 al dott. michele canil. dicembre 2021. Parte 1. PARTE 2

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I: Ben ritrovati in diretta straordinaria Antenna Tre. Abbiamo titolato la puntata “Giovani di ieri e di oggi, come cambiano le relazioni”. Ne parleremo insieme al mio ospite, il dottor Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta a Treviso. Ben trovato nei nostri studi dottore.

D: Grazie, buongiorno a tutti.

I: Allora, un tema molto complesso. Come cambia la società, di conseguenza cambia anche la gioventù che la vive. Dal suo punto di osservazione quali sono un po’ le caratteristiche che contraddistinguono i giovani di oggi?

D: Siamo sicuramente in una società, quella nostra italiana ma direi anche quella europea, che è in forte movimento, soprattutto dal dopoguerra. La velocità è sicuramente uno degli elementi che ci caratterizza maggiormente rispetto al passato. Abbiamo visto in queste ultime due o tre generazioni un notevole aumento della velocità nel creare e nel disfare; questo si riflette sulle relazioni, sulle unioni, sul matrimonio, sulle coppie, sul lavoro. Una dinamicità che, se da un lato sicuramente ha reso il mondo più efficacie, dall’altro però non è detto che faccia necessariamente bene alle relazioni. Basta pensare anche un po’ alla fetta degli adolescenti in questo memento storico, negli ultimi dieci / vent’anni, che ci fanno vedere quanto sia veloce i riciclo della relazione di tipo amicale o sentimentale, ma anche spesso relativamente al cambio di lavoro piuttosto che degli obiettivi della vita. Io credo che in fondo questa velocità sia un po’ eccessiva perchè spesso tende a dare più malessere che efficienza.

I: Restringendo il nostro punto di osservazione, guardando a questi ultimi due anni di pandemia che ha influito moltissimo sulle relazioni dei giovani. Come ha cambiato i giovani e il modo di vivere la socialità?

D: E’ fuori dubbio che l’ha molto cambiata. Teniamo presente che per i giovani, più che per gli adulti, la relazione e la socialità sono costrutti fondamentali. Il covid ha sicuramente creato isolamento sociale. Io come psicologo a Treviso ho assistito a molti casi di iper isolamento spontaneo nei giovani che addirittura hanno esasperato il lock-down fino ad arrivare a realtà molto simili ed assimilabili al fenomeno dell’ Hikikomori negli adolescenti. In altri casi, in una media di giovani sotto i 25 anni di età, certo una sofferenza c’è stata e adesso c’è molta voglia di recuperare la socialità perchè è necessaria prima di tutto per alimentare la nostra persona, l’autostima ma anche le esperienze stesse. Questa fascia adesso sta un po’ fluttuando, non sa bene cosa attendersi dal futuro, è un po’ in osservazione dell’ evolversi della pandemia. Ha già risentito dopo la prima chiusura manifestando disagi con un certo ritardo perchè sul settore psicologico abbiamo visto i risultati dopo sei / dodici mesi.

I: Quali sono i disturbi dei giovani che avete potuto osservare nel post lock-down?

D: Sul post lock-down abbiamo avuto un aumento importante dei disturbi d’ansia a Treviso, quindi dovuti all’isolamento e al timore. Disturbi che riguardano le sfere più acute come gli attacchi di panico, che purtroppo sono molto inabilitanti, ma anche diciamo un substrato meno acuto ma più persistente: ansia generalizzata stabile che va a disturbare le attività quotidiane peggiorando la qualità di vita. In questo momento un po’ tutto il settore è in sofferenza perchè c’è un’altissima richiesta di aito e non sempre abbiamo i numeri sufficienti per far fronte a tutta questa richiesta. Credo che non solo la fascia giovanile ma soprattutto quella ne abbia risentito. Le altre fasce in modo diverso in base alle prprie caratteristiche personali e ad eventuali disagi già presenti prima che hanno costituito sicuramente un trampolino in negativo per sviluppare poi altre patologie.

I: Abbiamo sempre detto che i giovani sono forse quelli che hanno pagato il prezzo più alto di questi due anni in cui la socialità è stata notevolmente ridotta. E’ arrivata una domanda attraverso i social: figlio sedicenne, tanto timido, pochi amici e tantissimo Facebook, Instagram, Tiktok… Come aiutarlo ad uscire un po’ da questa gabbia?

D: Ci sono diverse strategie di tipo pratico comportamentale: in primo luogo tentando di igienizzare l’ambiente evitando che il ragazzo abbia una camera, dove presumo trascorra la maggior parte del suo tempo, piena di attrezzatura tecnologica come ipad, computer ,eccetera e cercando di metterli in spazi comuni. Anche stabilendo un dialogo diretto con il ragazzo per capire come mai lui sente il bisogno di continuare una vita “virtuale”. Probabilmente la fase dell’isolamento da lock down ha solo accentuato quella che era una sua tendenza. Direi inoltre di provare a capire se possono esserci stati altri eventi nel corso di questi ultimi mesi o anni che possono averlo indotto a non frequentare più gruppi sociali. Vede, spesso dietro c’è una timidezza importante che talvolta diventa una fobia sociale, vi è un po’ la paura di affrontare o anche di perdere i contatti con gli altri. Molti ragazzi, dietro l’isolamento, pongono un atteggiamento in cui entrare in contatto diretto con i pari diventa un’area d’ansia perchè temono di non avere successo, di non piacere, di arrivare al punto in cui gli altri lo rifiutano.

I: Ed ecco perchè sembra che al giorno d’oggi la relazione più stretta che i giovani hanno sia con il proprio smartphone. Ci si nasconde proprio dietro questo strumento perchè c’è una difficoltà nel relazionarsi e questo ha poi notevli ricadute anche nell’affettività e nelle relazioni come dicevamo.

D: Direi proprio di sì. Questa estensione del corpo in cui si racchiude un po’ tutto il nostro mondo e quindi dall’uso fino all’abuso di questi strumenti fa una grandissima differenza. Chiaro che tutta a tecnologia che ci permette di vivere attraverso i nostri sensi ma parzialmente attraverso lo schermo diventa un po’ uno scudo; per alcune persone diventa un modo per poter nascondere adeguatamente il timore della responsabilità che qualcosa possa non andar bene. Alcuni ragazzi, ad esempio, da una delusione d’amore, come leggiamo dai giornali, così come da un’esclusione che ricevono da un gruppo di amici, a volte tentano gesti tragici. Questo ci deve sempre far riflettere sul fatto che un medesimo evento per un ragazzo con una personalità di un certo tipo si conclude con una risata mentre per un altro può avere un epilogo più tragico. Quindi comprendere le sensibilità specifiche di tutti i nostri figli è molto importante ed è un lavoro che deve fare tutta la comunità secondo me, non solo i genitori ma anche gli insegnanti e tutti gli educatori che possono avere un punto di vista privilegiato sui ragazzi. Questa è la vera prevenzione.

I: Secondo lei i giovani d’oggi si sentono supportati dalla società attorno a loro oppure si sentono soli, non capiti?

D: Non si sentono sufficientemente capiti e supportati perchè siamo una società a mio avviso che tende a fare porzioni singole anche del nostro lato umano e un’idea di collaborazione credo sia venuta a mancare. Nella maggior parte delle realtà non esiste più un quartiere dove persone conosciute fanno le veci dei genitori avendo un occhio attento sui nostri ragazzi. L’eccesso di libertà non ha generato molti progressi, anzi, ha creato una generazione spesso sfiduciata verso il mondo. Teniamo conto anche di un secondo punto molto importante: viviamo in un’epoca in cui alcune persone ritengono che l’assenza totale di un limite nell’eduzione possa rendere caratterialmente i figli più forti e questo è un grave errore perchè non solo le ricerche ma anche proprio l’aspetto pratico ci ha dimostrato come l’assenza totale di limiti non crea una persona più forte, al contrario la crea più fragile. Un giorno infatti i ragazzi impatteranno su un mondo fatto di regole. Quindi, non eccesso di limiti, non assenza di limiti ma una via di mezzo, una parte moderata in cui i nostri figli possano fare esperienza di limiti, di vittorie, di sconfitte.

I: Ormai è luogo comune dire che i giovani di oggi siano bulli, maleducati; vengono spesso dipinti in maniera negativa. Da un lato vediamo giovani estremamente negativi, dall’altro giovani estremamente positivi e realizzati. Abbiamo forse troppi pregiudizi nel dipingere questa gioventù?

D: Forse un po’ sì, forse non ci fermiamo a riflettere su come alcuni giovani siano arrivati ad un certo stile di vita. Ogni tanto leggiamo di baby-gang con situazioni poco limpide: in questo caso io credo che manchi sempre la famiglia. Laddove vediamo ragazzi con un certo grado di malessere, dobbiamo comprendere cos’è accaduto in famiglia. Chiaro che istintivamente un po’ tutti sono portati a giudicare ma almeno noi come figure educative dobbiamo avere un occhio che va oltre le apparenze.

I: Io però credo che i giovani d’oggi abbiano valori positivi, forse non sanno come poterli esprimere e qual è il loro posto in questa società..

D: Ogni gruppo di ragazzi ha sempre all’interno una parte che soffre. Il mondo può offrire dal bianco più chiaro al nero più scuro e ciascuno di noi sceglie una gradazione e su quella crea anche un senso di appartenenza. I ragazzi che hanno vissuto esperienze almeno in parte traumatiche tendono a non scegliere il meglio per loro bensì quello che riproduce lo stile di vita che loro hanno assorbito. Per questo bisogna sempre puntare sulla prevenzione, sullo stile educativo, sull’ambiente familiare, sulla presenza di almeno un genitore sufficientemente buono, cioè capace di capire. La visione del mondo che la famiglia propone ai figli sarà la visione che poi avranno da adulti.

I: A al proposito leggo una domanda che ci arriva da casa: sono la mamma di un ragazzo adolescente e penso che questi giovani in realtà siano pieni di desideri, sogni e bisogno di relazioni. Sono però incapaci di mettere a fuoco cosa vogliono davvero. C’è questa difficoltà di proiettarsi nel futuro?

D: Tendenzialmente direi di sì. Questo fa anche parte di noi stessi di capire che cosa vogliamo nel tempo. Io trovo che manchi un po’ il sogno, l’immaginazione. Non è importante se una persona sceglie la strada A o la strada B, bensì disegnare nella propria mente un’idea, un sogno. Al giorno d’oggi c’è tutto, ma è come se questo tutto creasse maggiori difficoltà nello scegliere una via da percorrere. I ragazzi hanno bisogno di supporto per trovare lo sviluppo delle loro ambizioni.

I: Siamo portati a pensare che l’educazione di una volta era più rigida. I giovani d’oggi sono troppo liberi?

D: Io credo che nella complessità del mondo i giovani abbiano bisogno di un manualetto di istruzioni adeguato. Chiaro che in certi casi nemmeno noi genitori conosciamo tutto però possiamo trasmettere la nostra esperienza e per farlo servono due cose: la presenza e il dialogo. Questa è una magia che cura più di qualsiasi farmaco di ultima generazione. Se noi abbiamo dialogo con i nostri figli e li portiamo a comprendere la complessità di ciò che vivono, io credo che abbiamo già fatto un’azione estremamente utile per loro.

I: Un altro aspetto è che viviamo in una società che ci porta a desiderare il denaro. Come vivono secondo Lei questo i giovani?

D: I giovani, dalla fascia della preadolescenza, sono bombardati da immagini di questo tipo. Tutto sta nel filtrare questo in modo adeguato affinchè non diventi un delirio di onnipotenza per cui senza denaro una persona diventa fallita. Purtroppo non vediamo più tanti giovani che si trovano in piazza che giocano, si divertono, parlano sui muretti, si è perso un po’ il gusto per le cose semplici. La serenità è la chiave di tutto.

I: Anche perchè deve un po’ passare l’idea che guadagnare denaro non è facile.

D: Ci sono messaggi che invitano a guadagnare denaro facile. Non vorrei che questo portasse i nostri giovani a pensare che se non così, tutto il resto sia una perdita di tempo. Come psicologo a Treviso spesso riscontro come si tenda a perdere il senso del presente in luogo di un’attesa del futuro con chissà quale successo; intanto si vive un presente in sedazione in attesa passiva che arrivi quel momento. Quindi invito i giovani a stare nel presente e a viverlo.

I: I giovani dove apprendono come relazionarsi?

D: Lo stile relazionale nasce fondamentalmente nella relazione che si instaura soprattutto nei primi tre anni di vita con le figure care-giver, cioè dei genitori o di chi ne fa le veci. Lì apprendono un ruolo che sia compatibile con quello materno che è fondamentale per qualsiasi bimbo perchè garantisce la sopravvivenza, l’amore, le cure, la autostima e molti altri aspetti come il rapporto con il proprio corpo, il giusto senso di colpa. Se questa relazione non è sufficientemente sicura, comincia a crearsi una predisposizione ad attacchi di panico, depressione, disturbi nella stabiltà delle relazioni e via dicendo.

I: Le leggo una domanda che ci arriva da casa: non riesco ad instaurare un rapporto sereno con mia figlia, ci scontriamo su ogni argomento, non trovo la chiave per poter interagire pacificamente con lei, come potrei pormi? E’ chiaro che qui c’è una conflittualità madre e figlia.

D: Qui probabilmente la figlia sta tentando con alta probabilità a ribellarsi a dei giudizi. Sta tentando di far valere la sua opinione perchè evidentemente per qualche motivo sente di non avere uno spazio o un ascolto sufficiente. Chiaramente bisognerebbe approfondire i motivi specifici ma spesso c’è dietro il sentirsi in qualche modo squalificati. Non stiamo accusando la mamma, che avrà fatto del suo meglio, ma nello stile educativo si è creata una situazione di malessere da parte della figlia che non sente di potere porsi alla pari. C’è anche una fase in cui questo è non solo normale ma anche desiderabile che accada perchè dalla preadolescenza all’adolescenza ci sperimentiamo come adulti quindi tendiamo ad andare un po’ in contrasto coni genitori perchè in realtà inconsapevolmente li stiamo misurando. Per cui in questo momento io invito sempre i genitori a permettersi di sperimentare un po’ di contrasto; lo stanno facendo in un luogo protetto perciò diventa un’esperienza non pericolosa. Se tendiamo a spegnere troppo la fiamma dell’impeto rischiamo di farli diventare adulti troppo sottomessi. Al contrario, se permettiamo loro di essere eccessivamente aggressivi, rischiamo di lasciar loro l’impressione di essere troppo potenti con conseguenti possibilità di scontri nella vita adulta in ambito relazionale e lavorativo.

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