Rapporto genitori-figli: possono i genitori rovinare la vita dei figli?
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POSSONO I GENITORI ROVINARE LA VITA DEI FIGLI?

I genitori possono rovinare la vita dei figli? Dott. Michele Canil

POSSONO I GENITORI ROVINARE LA VITA DEI FIGLI?

l’intervista televisiva al dr. michele canil sul rapporto genitori-figli

I.: Buongiorno e ben trovati con Ore 13. Oggi parliamo del rapporto genitori-figli, e nello specifico ci chiediamo:

“I genitori possono rovinare la vita ai figli? Che tipo di adulto vanno a generare i genitori con la loro educazione? E poi quali problemi nascono e come possono essere risolti?”

Abbiamo in studio con noi il dott. Michele Canil, neuropsicologo e psicoterapeuta. Ben arrivato!

D.: Grazie, buongiorno!

Rapporto genitori-figli: il loro futuro dipende dalla famiglia

I.: Allora, l’Italia, Lei lo sa, è il paese dei depressi: molte persone hanno problemi a relazionarsi e forse questo dipende anche dall’imprinting che viene dato in famiglia?

D.: Il titolo evoca sicuramente potenziali sensi di colpa. L’imprinting è sicuramente importantissimo, lo abbiamo visto in diversi secoli di sperimentazioni. L’esperienza che i nostri figli fanno attraverso i nostri occhi e con noi, che sono due canali differenti, diventerà fondamentale per loro nel modo in cui essi vedranno il mondo. Questo riguarda non solo il nostro personale stile, ma anche gli eventuali traumi e situazioni particolari che la famiglia attraversa. Quindi bisogna spesso anche andare indietro di qualche generazione e vedere quali drammi una famiglia in più generazioni ha affrontato. Perchè quei drammi si riversano poi sulle generazioni future inconsapevolmente.

I.: Quindi questo poi diventa un problema a livello sociale ed emotivo perchè poi le cattive azioni che si vivono purtroppo poi tendono a riproporsi. E’ così?

D.: Tendono a riproporsi oppure si passano in maniera trans-generazionale. Possono ad esempio essere le paure che diventano fobie, piuttosto che i preconcetti o altre modalità emotive con cui affrontare gli eventi di vita.

I.: Molti si chiedono quale sia la componente che va ad incidere poi sulla vita da adulto, se sia la componente familiare, la componente ambientale o la componente genetica. Mi piace ricordare innanzitutto che il 95% del nostro DNA contiene informazioni spazzatura, buono resta sostanzialmente un 5% e questo 5%, questa unione di geni tra mamma e papà influenza secondo gli esperti il 50% dell’essere, della componente caratteriale. Il resto sarebbe influenzato da scuola, famiglia, ambiente e quello che possono fare i genitori, se vogliono influenzare il figlio in maniera positiva, è scegliere un certo tipo di scuola, un certo tipo di ambiente da frequentare, etc. Lei cosa pensa di questi studi?

D.: Questo studio mi sembra un po’ estremista nel dichiarare che quasi tutto dipende dai geni. La genetica ci ha insegnato come le informazioni nel giro di 48 ore vengono trasportate dall’esperienza a una proteina ben specifica che imprime un significato in questa complessa rete di geni. Però spesso abbiamo visto che l’ambiente fa la sua parte ma la famiglia può fare davvero la differenza. In realtà, come dicono anche Recalcati e tantissimi altri autori, la mamma, il rapporto col materno, diventa fondamentale. Perchè gli eventi di vita possono essere stressanti, traumatici, di vario tipo, ma la modalità con cui noi affrontiamo gli eventi fa la differenza e quelle armi per farvi fronte lo impariamo nelle prime relazioni, cioè con mamma, papà ed altre figure di accudimento.

I.: Se il ragazzino ha dei punti di riferimento riesce anche a fronteggiare gli eventi negativi, questo è importante. Le volevo chiedere una cosa: ci sono state molte pubblicazioni negli anni come Lei ben sa, sulla relazione genitori-figli e ce n’è uno molto interessante che è “La presunzione dell’educazione” di Judith Harris. Questo smentisce la convinzione tradizionale che l’educazione data dai genitori possa influenzare in maniera fondamentale l’adulto futuro. Dice che i genitori non hanno colpa se poi il figlio viene su male. L’ha fatto in base ad una statistica su più figli di una stessa famiglia con risvolti diversi.

D.: Io direi che è importante uscire completamente dal concetto di colpa perchè questo concetto rischia di fare sia dei danni ai genitori perchè si sentono profondamente a disagio ed artefici di qualcosa, che dei danni ai figli perchè diventa un pretesto che non dà loro possibilità oppure un senso di colpa personale. Quindi, uscendo da questo concetto, direi casomai “Che cosa dobbiamo tentare di passare ai figli? Che cosa è loro utile?” Tante volte le situazioni traumatiche accadute anche tre generazioni prima di un ragazzo adolescente che manifesta un disagio spesso vediamo in ambito clinico essere tramandate da una generazione all’altra, senza colpa, ma a livello di valori. Spesso si vedono situazioni che, sembra incredibile, ma in qualche modo sono riverberazioni ancora della guerra. Magari i nonni che hanno sofferto situazioni drammatiche come perdite, lutti, povertà; la seconda generazione degli anni ’70 ha tentato di far fronte a quelle paure che nella terza generazione poi vengono tramandate. Molti studi hanno messo in luce che la terza generazione è quella che paga in modo pesante questa eredità. Quindi più che parlare di colpa, direi che spesso siamo veicoli, quindi è importante e necessario accorgersi di cosa veicoliamo.

Rapporto genitori-figli: un caso specifico

I.: Prendiamo una telefonata. Pronto, buongiorno!

T.: Buongiorno dottore. Volevo sottolineare una cosa importante: mia mamma ha sempre fatto differenze tra mio fratello maschio e me e questo mi ha portato spesso ad essere insicura. Io sono sempre stata in secondo piano. Ha un consiglio?

I.: Grazie signora. Questa differenza maschio femmina all’interno del rapporto genitori-figli si vede spesso, soprattutto nella nostra regione.

D.: Gli elementi per dare una buona risposta qualitativa sono davvero pochi. Non so se è di consolazione ma è una situazione che spesso si vede nel nostro territorio e soprattutto in quest’epoca qui perchè nonostante tutta l’emancipazione siamo un po’ figli di quell’eredità di cui si parlava per cui i figli maschi in qualche modo portano avanti il cognome, una volta erano una forza lavoro importante e quindi in qualche modo anche la mamma di questa signora avrà acquisito questi valori che ha fatto passare probabilmente in buona fede, senza voler nuocere ma che sicuramente provocano un profondo disagio. Io e i miei colleghi vediamo spesso nei nostri studi questo tipo di sofferenze.

I.: Ma che tipo di sofferenza è sentirsi in secondo piano? La signora dice che è insicura per questo motivo.

D.: Assolutamente sì. Perchè il messaggio di fondo che emerge è “io valgo poco, io valgo meno di qualcun altro”. Per cui questa signora sicuramente soffrirà il confronto oppure tenderà a notare ciò che gli altri fanno più di lei con sofferenza, non con altri tipi di sentimenti perchè è stato veicolato questo tipo di messaggio. Sono messaggi che agiscono molto in profondità ma determinano assolutamente la vita adulta di una persona. Quindi è importante stare molto attenti.


Genitori ed indipendenza: una questione controversa

I.: Spesso i genitori non incoraggiano l’indipendenza. E questo è un grosso problema.

D.: L’indipendenza è un altro tema importantissimo dello sviluppo. Tenga conto che un paio di generazioni fa la dipendenza era maggiore e concentrata sulla famiglia. Faccio degli esempi molto semplici: si tendeva a vivere in molte persone in un’unica casa, le attività lavorative erano spesso a carattere familiare, quindi l’ambiente e la famiglia avevano un condizionamento importante. Ad oggi l’indipendenza è da un lato eccessiva, perchè non tutti i ragazzini adolescenti e preadolescenti hanno gli strumenti per affrontare un mondo complesso, dall’altro alcune volte io vedo ci sono alcune mamme che tendono a costruire molta dipendenza con i ragazzi perchè magari a loro volta sono persone che non hanno a fianco una figura paterna così presente per svariati motivi e tendono quindi ad aggrapparsi ai figli. Questo non fa proprio bene perchè è un messaggio di bisogno da parte del materno verso i figli.

I.: Infatti ho trovato nove errori nei confronti dei figli tra cui non incoraggiare la dipendenza. Uno studio ha dimostrato come i genitori che condizionano i propri figli abbiano conseguenze negative e i figli hanno bassa autostima e bassa fiducia in se stessi. Prendiamo una telefonata. Pronto buongiorno!

T.: Buongiorno! Io ho mio genero che vedo avere un brutto rapporto con il figlio. Aggressivo, non può fare nulla fuori dalle righe ed anche aggressivo. A volte il bambino non vuole vedere il papà. E’ un bambino bravo, che ancora ascolta la mamma, buono di cuore, ma per il papà..mio nipote ha 13 anni e in certe situazioni il papà diventa cattivo con il figlio. Io non so questa situazione a cosa possa portare in futuro.

I.: I genitori sono divorziati?

T.: Sono in crisi per questa cosa del figlio. Cosa si può fare con un papà sempre così nervoso?

I.: Ma Suo genero alza le mani con il figlio?

T.: Le ha anche alzate sì. Io sono la nonna e credo di poter anche intervenire.

I.: Grazie signora, tra l’altro ho trovato anche un’interessante ricerca dal Texas: hanno fatto uno studio che è durato 50 anni su 165.000 bambini e la sculacciata che è stata associata a problemi di salute mentale e di difficoltà cognitiva. Quindi è stato verificato che in questi 50 anni il bambino può diventare un adulto iperattivo, aggressivo..insomma, non indifferente questo studio e ci collega al problema della signora con un genero molto aggressivo.

D.: Nel caso della signora la risposta meccanicistica è che il papà dovrebbe rivedere le sue posizioni, sicuramente dovrebbe fare un po’ un viaggio introspettivo. Questo a livello molto pratico; poi se non è disponibile questo può diventare un problema a lungo andare. A questo punto il nipote della signora avrà due possibilità da adulto: o reagisce con rabbia rispetto alle autorità che non ha avuto in modo adeguato da piccola, cioè la figura del padre, e quindi mal tollererà le autorità e tenderà ad uscire dai limiti, oppure starà nei limiti ma svilupperà una bassa autostima, una sensazione di inadeguatezza rispetto alle situazioni, una difficoltà a confrontarsi con gli altri, quindi una sfiducia di fondo che chiaramente farà prendere un percorso alla sua vita che è diverso da quello di un bambino che sviluppa entusiasmo, fiducia in sé, possibilità di guardare al futuro in modo creativo. Quindi direi che non è buona una strada e non è buona l’altra..

I.: Quindi la nonna dovrebbe cercare con la figlia un incontro del genitore con magari un terapeuta.

D.: Direi di sì.

I.: Però forse c’è anche aria di separazione, è una situazione complessa.

D.: Intanto io tenterei comunque di parlare in modo ragionevole, poi insomma altre situazioni degradano quindi deve poi intervenire il giudice ma mi auguro che non sia questo il caso.

I.: E speriamo che il padre accetti un aiuto perchè non sempre gli uomini si fanno aiutare, è più facile per le donne.

D.: Abbiamo il 99% di possibilità che questo padre abbia a sua volta subito qualcosa di sgradevole perchè la signora in questo caso ha parlato di perfezionismo a livello patologico e di controllo sul figlio, cioè non accetta che il figlio alzi la voce, che sia vivace, che possa combinare qualche guaio..che invece sono esperienze che, entro certi limiti, andrebbero permesse.

I.: Speriamo signora di averLe dato una risposta. Vi aspettiamo a dopo!


Rapporto genitori-figli: quanto incide sulla determinazione del sé

I.: Stiamo parlando delle difficoltà nel rapporto genitori-figli e di quanto i genitori possano incidere sul futuro affettivo e sulla costruzione di se stesso dell’adulto. Durante la pubblicità parlavo con il dottore di una problematica molto importante: aver avuto dei genitori anaffettivi, molto freddi che magari non ti hanno mai dato un bacio o preso in braccio, che sono stati molto distaccati. Questo è terribile.

D.: Questo è terribile e crea dei danni spesso permanenti nelle persone. Cioè, da quello stile affettivo relazionale nell’infanzia si può arrivare ad una vita adulta che può avere delle compromissioni importanti come non avvertire i propri sentimenti o quelli degli altri, isolamento sociale o spesso anche molti disturbi nell’area della sessualità. L’affettività che il genitore riesce a far passare all’interno della relazione sere a due cose importanti: intanto a dare un senso di sicurezza personale, cioè la mia figura di accudimento c’è, pensa a me e mi trasmette delle emozioni positive; poi ci fa riconoscere le nostre percezioni come stai male, sei arrabbiato, sei felice, quanto ti voglio bene..ci fa riconoscere cosa proviamo che altrimenti diventa una patologia che si chiama alessitimia in ci abbiamo un vuoto interpretativo di tutto ciò che ci succede. Ci batte il cuore, abbiamo paura che sia un disagio ed invece è un’emozione. O non sappiamo addirittura riconoscere lo stato d’animo di chi ci sta vicino.

I.: In questo caso, una persona che è cresciuta con dei genitori anafettivi, che non le mai dato un bacio o una carezza..con dei genitori che magari hanno fatto di tutto ma non hanno però mai fatto un gesto di affetto..che cosa può fare?

D.: Meglio avere un tetto precario ma l’affetto dei genitori perchè quello è un fattore protettivo, come hanno messo in luce tanti studi longitudinali, cioè fatti su 20-30-50 anni. L’attaccamento sicuro permette alle persone di avere più successo nella vita, di avere degli obiettivi raggiungibili, di far fronte agli eventi traumatici come lutto, perdita o cose più gravi. Paradossalmente il dare tutto a livello concreto può essere un agio nei primi anni ma già nell’adolescenza si manifesta un forte disagio che è il vuoto interiore.

I.: E poi uno si pone le domande “ma cosa ho fatto io di sbagliato?” magari è riconducibile a quando era piccolino..

D.: Il senso di colpa, la sensazione di disagio, di non piacere a nessuno… spesso il non vedersi sufficientemente belli; questo, più che l’aspetto fisico, riguarda il rapporto con i genitori che non hanno riempito a sufficienza quel bisogno di sentirsi piacevoli.

I.: E poi ci sono tutti quei perchè che fanno fatica a trovare una risposta. Magari poi uno a 50 anni si chiede “come mai i miei genitori sono stati così?”

D.: Già se si arriva a quella domanda siamo già mezzi salvi perchè c’è una capacità di riflessione, di introspezione. Se proprio non arriva, è una situazione un po’ più grave da affrontare. A livello traumatico si è visto che mediamente un 50% delle patologie psichiatriche hanno assolutamente una situazione traumatica alle spalle, le altre una probabile situazione traumatica.


IL BISOGNO DI PIACERE AI GENITORI

I.: Prendiamo questa telefonata. Pronto buongiorno!

T.: Buongiorno. Io ho una nipote di 13 anni che con sua madre è sempre in conflitto. Però a scuola è brava, si comporta bene. Quando magari le si dice qualcosa riguardo sua madre lei si altera, non capisco e volevo chiedere al dottore come mai.

I.: Le faccio dare una risposta. Dottore, età difficile eh?

D.: Età difficile. E’ interessante perchè dà l’opportunità di mettere in evidenza una cosa che si osserva spesso: noi nasciamo all’interno di una dipendenza, facciamo finta che dipendere sia qualcosa di neutro, né negativo, né positivo. All’interno di questa dipendenza con i genitori abbiamo l’opportunità di crescere in un ambiente protetto. Nella normalità dei casi il bambino o la bambina hanno la necessità di mantenere il rapporto con i genitori, quindi in qualche modo tentiamo di piacere loro. Se non sentiamo che gli piacciamo a sufficienza cominciamo ad attivarci molto sui canali che riteniamo per i genitori siano quelli fondamentali. Quindi questa ragazzina sta tentando di andare bene a scuola, ovviamente la mamma ha un’esigenza ancora più elevata e bisogna capire il motivo perchè ci sarà qualcosa alle sue spalle che crea l’attrito. Al momento questa ragazzina non può permettersi di parlar male della mamma perchè la sta rincorrendo, sta rincorrendo il suo amore incondizionato. E’ quello che un po’ tutti i ragazzini vorrebbero.

I.: Ma è una cosa tipica di quest’età? Nel senso, tra i 13 e i 15 anni c’è l’età dello Tzunami lo chiamano alcuni…

D.: Normalmente in quest’età dovremmo vedere un pochino di più il conflitto e rispetto al rincorrere l’affetto della mamma, oppure una situazione un po’ più ammorbidita cioè non proprio in conflitto ma un tentativo di dipendenza. Invece io intuisco dalla situazione che questa ragazzina sta tentando di rincorrere ciò che non ha acquisito prima.

I.: Quindi signora bisognerebbe parlare con Sua figlia per capire perchè c’è questo conflitto.

D.: Come genitori potremmo sempre chiederci “Io ho fatto questa azione verso i miei figli: con quale scopo? E’ un’esigenza mia o loro?” Questo ci aiuta un po’ ad orientarci rispetto al nostro e al loro volere.

I.: Essere genitori è camminare sulle uova, non te lo insegna nessuno.


IL RAPPORTO GENITORI-FIGLI IN UN NUCLEO ANAFFETTIVO

I.: Ci stiamo chiedendo cosa succede ai ragazzini quando i genitori, il nucleo familiare è anaffettivo, troppo controllante. Si generano delle dinamiche poi nell’adulto che sono molto complicate poi da andare a risolvere. La signora di prima ci ha parlato di questo conflitto con la mamma. Uno dei nove errori che è scientificamente provato diano seri problemi è l’urlare. La dura disciplina verbale può essere dannosa. Lo studio del 2013 ha evidenziato come grida, imprecazioni e insulti non diano alcun benessere al bambino ma generano invece una forte depressione.

D.: Aggiungo un paio di dati interessanti: si pensi solo che la voce materna rassicurante dà una respirazione cardiaca circolatoria nei bambini e inoltre è stato provato come salga la serotonina che è quell’ormone che ci permette di tenere un equilibrio dell’umore. Il bambino impara a regolare il suo umore attraverso la voce rassicurante della mamma. Laddove questo manca troppo spesso, o con intensità errata (sto parlando di casi in cui i genitori urlano dal mattino alla sera al bambino), il bambino non solo si sente inefficace nel farsi amare, e quindi penserà per tutta la vita adulta di non essere amabile, ma avrà una serie di complicanze a livello organico perchè c’è una disregolazione a livello di molti organi di senso.

I.: Ma quindi cosa potrebbe avere da adulto? Anche qualche problema nel dormire oppure un problema di equilibrio nell’umore cioè un momento di felicità e un momento di tristezza?

D.: Una sola parola detta male getta nello sconforto per settimane perchè c’è un senso di colpa, bassa auto-efficacia, piuttosto che una disregolazione a livello emotivo e purtroppo nella nostra società attuale molti giovani che non trovano una giusta regolazione emotiva la regolano da soli attraverso delle sostanze che trovano in giro e che hanno un effetto chimico. Sto parlando di sostanze stupefacenti attraverso cui loro riescono a fare questa operazione che altrimenti non sono capaci o ritengono di non essere capaci di fare.

I.: Tutti più o meno abbiamo sgridato o alzato la voce sui nostri figli, può capitare. Quand’è che dobbiamo preoccuparci?

D.: Paracelso diceva “Tutto è veleno, nulla è veleno, dipende dalla dose”. Quindi la sgridata che dura un giorno, un’ora o una settimana e motivata non crea nulla, anzi è salutare perchè in qualche modo fa capire ai nostri figli i limiti e anche il limite di pazienza dell’adulto. Ma se questa è protratta nel tempo molto a lungo e molto frequentemente quello diventa uno stile educativo che influenza l’intero rapporto genitore-figlio. Sto parlando di un genitore che istintivamente urla sempre ai propri figli, continuamente, quindi non passa mai il messaggio “Vai bene così, hai fatto bene, sei bravo”, c’è solo un rimprovero.


RAPPORTO GENITORI-FIGLI: 3 TIPOLOGIE DI GENITORI

I.: Com’è complicato! Senta, nel 1960 una studiosa affermò che ci sono tre tipi di genitori: i permissivi, gli autoritari e gli autorevoli.

D.: Sì, queste sono le tre fasce principali.

I.: Sono tutte negative?

D.: No, autorevoli significa che riusciamo a farci capire. L’importante è sempre bilanciare: possiamo sgridare i nostri figli su un fatto, l’importante è che facciamo corrispondere un comportamento, una piccola sanzione così imparano il limite ma poi dobbiamo anche essere capaci di giocare con loro in un’altra situazione. Quindi creare continuamente un equilibrio. E’ come se dovessimo mettere un po’ tutte le manopole a metà, né troppo, né meno. Quindi il gioco, il giusto equilibrio, la presenza, il condividere, il chiedere loro un piccolo sacrificio come “aspetta, abbi pazienza, un attimo”..L’ideale è sempre l’equilibrio.

I.: Quindi è un tiro alla fune continuo con questi figli.

D.: Io direi, tenere sempre un equilibrio, questo richiede ovviamente tempo e capacità di riflettere, tempo di riflettere su di loro. Oggi li ho sgridati perchè c’è quella situazione lì che non dovevano fare però tutto sommato posso comunque, faccio un esempio, prendere loro la pizza che gli piace molto specificando che la cena non c’entra nulla con il non aver fatto i compiti. Poi se domani vedo, perchè i figli non reagiscono tutti ugualmente, che uno se ne approfitta e non fa i compiti mentre l’altro ha capito, con quello che se ne approfitta aggiungerò un discorso, una piccola sanzione e via dicendo. Quindi accompagnarli veramente man mano. E’ davvero il più difficile mestiere del mondo.

I.: Diversificare, non andare in un’unica direzione. Abbiamo parlato all’inizio di queste persone che soffrono di depressione e, nella Sua esperienza lavorativa, secondo lei, quanto la depressione dipende dal nucleo familiare di ognuno?

D.: Nella mia esperienza moltissimo, nel senso che la depressione spesso ha nel suo più profondo esprimersi delle parole chiave che queste persone hanno acquisito quindi spesso una persona arriva magari al momento di paura perchè ha una delusione d’amore oppure ha un malessere interiore, oppure una situazione che non riesce ad affrontare. Andando un po’ indietro nel tempo capiamo insieme spesso che c’è qualcosa che lavora dentro, magari una frase che inibisce ma che magari è entrata nel circolo sanguigno, spesso “io non valgo, io non sono adeguato, io non posso farcela”. Di fondo siamo all’interno del concetto di non sentirsi amabili. Qualcosa che ci fa provare quel tipo di sentimento lo va a sollecitare moltissimo ed ecco che davanti a certi eventi che in modo particolare non solo sollecitano quel messaggio negativo interno, ma lo infiammano, usando un termine più medico, ecco che lì si sviluppano i sintomi più forti che in fondo sono una richiesta d’aiuto. Quindi dobbiamo coglierli ed interpretarli.


ANSIA E DEPRESSIONE COME CONSEGUENZA DI UN RAPPORTO GENITORI-FIGLI NON SANO

I.: Quindi da un lato l’ansia si può sviluppare in una cattiva gestione del rapporto genitori-figli. L’ansia, anche quella emerge… Se un genitore ti mette l’ansia… Quante volte vediamo ragazzini che rispondono “Mia mamma mi mette l’ansia”…

D.: Sì, anche qui bisogna sempre bilanciare perchè è chiaro che dai 5 ai 15 anni siamo comunque all’interno di una finestra in cui dobbiamo tollerare che i figli rispondano mediamente alla terza o alla quarta volta. Poi in altri casi possiamo chiedere loro più attenzione. Se non ascoltano mai è un’altra questione, se ascoltano alla prima volta che diciamo qualcosa potrebbe essere che sono fin troppo spaventati dal non rispondere. Quindi insomma tenere anche lì un bilanciamento.

I.: Sempre parlando di ansia e depressione, c’è un momento nel quale i figli riconoscono e danno la colpa ai genitori per aver generato queste patologie?

D.: Dipende. Troviamo principalmente due casi: figli il cui conto in sospeso con i genitori è ancora molto aperto a livello emotivo, e quindi hanno molta difficoltà a riconoscere loro delle responsabilità, tendono a non dire mai “Sì, effettivamente mio padre o mia madre hanno fatto questa cosa negativa”, quindi li proteggono. Questo va rispettato perchè si capisce che se li proteggono stanno un po’ elemosinando un amore col timore di poterli perdere definitivamente, anche se non è così nella realtà dove vale molto ciò che ci aspettiamo, le aspettative. Un altro caso in cui riescono ad essere un po’ più critici e dicono “sì, in effetti adesso che ci penso trovo che mio padre, mia madre, il nonno, la figura importante ha fatto questo con me e non andava bene.

I.: Tra questi fatti abbiamo visto che non va bene creare dipendenza ed essere genitori elicottero che gravitano sulla testa dei propri figli. Quante coppie scoppiano a causa di una mamma, suocera o suocero che gravitano continuamente sulla vita del figlio e questo va ad inficiare poi la relazione tra marito e moglie. Questo è un problema serio.

D.: Sì, in tal senso interpreto l’elicottero come una necessità di controllo. Il controllo c’è sempre quando abbiamo il timore, appreso nell’esperienza, di poter perdere qualcuno. Perdere qualcuno è una delle situazioni traumatiche più ricorrenti in questo passaggio generazionale di cui parlavo. Quindi il timore dell’abbandono deriva spesso da un’esperienza del nonno che passa alla mamma, al papà e pi anche in terza generazione. Il bisogno di controllo sembra essere un comportamento di garanzia, cioè “io ti controllo e so che non posso perderti”. In realtà è un po’ un’illusione. Ma è una necessità che placa un po’ l’ansia in chi è disturbato.

I.: Placa l’ansia del genitore e fa venire l’ansia al figlio.

D.: Placa l’ansia del genitore che è disturbato da questo sentimento di poter perdere il figlio o della lontananza anche semplicemente. Quindi placa la sua ma fa crescere quella del figlio, tant’è che sappiamo che avere i genitori ansiosi è un forte fattore di rischio per sviluppare un disturbo ansioso. Non necessariamente ma può essere.


I GENITORI “MANIPOLATORI”

I.: Stiamo cercando di capire come i genitori che sono stati un po’ “particolari” non continuino a rovinare la vita dei figli anche quando sono adulti. In questa categoria rientra anche il genitore che manipola e questo è un problema molto serio.

D.: Il genitore che manipola è un genitore che a sua volta ha avuto delle carenze. Questo è un modo invariabile, nel senso che con la necessità di vincere facile su un bambino, cioè facendogli fare qualcosa che in realtà non vorremmo concedergli, non facciamo il suo bene. Stiamo rispondendo ad una nostra esigenza da genitore ed andrebbe cercato il perchè gli permettiamo di fare questo. Un altro tipo di manipolazione più leggera e che fa sorridere è la classica caramella in più che danno i nonni, la trasgressione concessa. Entro certi limiti, direi che il termine manipolazione è anche esagerato; i nonni cercano di essere accattivanti ma è anche giusto che ci sia una differenza. In altri casi se diventa eccessivo, come molti colleghi che si occupano di disturbi alimentari stanno capendo benissimo, diventa un rinforzo sul cibo o su altri elementi che possono essere i giochi o l’acquisto di oggetti. Quindi ad esempio, dai che facciamo questa cosa, strizzando l’occhio, così poi ti compro quello, spesso anche da altre figure come lo zio, l’amico, il vicino che in fondo hanno una necessità di vicinanza e quindi il bambino diventa una parte vulnerabile perchè i bambini hanno molto bisogno di vicinanza e di complicità con l’adulto. La manipolazione avrebbe l’esigenza di andare incontro all’adulto, non al bambino.

I.: Quindi poi si ricade su questo bambino che poi cresce “storto”. Senta dottore, in relazione all’adulto sentiamo tante storie di genitori che condizionano anche la vita scolastica, il pecorso di studi, le amicizie…

D.: Sempre tenendo conto che bisogna guardare l’equilibrio delle cose, cioè manipolare le amicizie può essere grave o no, nel senso che se riteniamo che l’amicizia non sia utile per certi valori importanti possiamo dire loro direttamente “Guarda che preferirei che non frequentassi quella persona e ti spiego perchè”. La manipolazione arriva in un modo diverso perchè sempre fa leva su un senso di colpa, quindi stiamo insegnando al bambino di non cavarsela con le sue risorse o di imparare qualcosa, ma gli insegniamo a sentirsi in colpa se esce dal progetto che noi abbiamo su di lui. In questo rientra anche la scuola. Io ho visto genitori molto bravi nel settore della vita del bambino ma magari con un’aspettativa altissima a livello scolastico: nulla di peggio, perchè prima o poi gli andrà di traverso come un boccone amaro. Quindi un genitore che ha un’aspettativa eccessiva dovrebbe chiedersi come mai quel perfezionismo, perchè è meglio un figlio sereno che porta a casa dei sei, piuttosto che uno che porta a casa dei dieci ma che prima o poi si bloccherà.

I.: I geni sono sempre stati infelici, anche i bambini prodigio…

D.: Questo sì.


I CONFLITTI IN FAMIGLIA: A RISCHIO LA CONSIDERAZIONE DI SÈ DEI FIGLI

I.: I bambini hanno anche bisogno di giocare. Una cosa che inficia molto la serenità di un adulto è l’aver vissuto i conflitti in famiglia: genitori che si lanciavano, per così dire, i coltelli, parole grosse, in una generazione come la nostra dove vive anche la famiglia allargata.

D.: Questo è importante perchè ciò che è legato al rapporto genitori-figli si assorbe un po’ come una musica che rimane dentro. La famiglia estremamente conflittuale trasmette intanto poco affetto o poca attenzione perchè è molto presa dal proprio conflitto; in secondo luogo genera una trasmissione di uno stile educativo che con altissima probabilità diventerà quello del bambino. Oppure in altri casi il bambino si colloca proprio al polo opposto e quindi evita completamente i conflitti perchè li teme. Laddove succede un conflitto anche lavorativo, di carattere quotidiano, vediamo che la persona va in blocco totale e magari si rivolge al terapeuta dicendo “mi è successo questo”. Se andiamo indietro nella sua storia scopriamo che sicuramente c’è un’esperienza di quel tipo.


RAPPORTO GENITORI-FIGLI E FAMIGLIE ALLARGATE: ISTRUZIONI PER L’USO

I.: La signora della prima telefonata parlava proprio del rapporto genitori-figli in cui si ha la predilezione del figlio maschio rispetto alla figlia femmina, in questo caso figli di serie A e figli di serie B.

D.: Questo è molto complesso da gestire. Adesso assistiamo a queste famiglie allargate in cui si mescolano figli e genitori, molti nonni, poi magari subentrano i compagni che poi anche giustamente tentano di fare gli educatori ma non sempre sono riconosciuti… si crea un po’ di confusione. Il mio consiglio è quello di tenere sempre un po’ in ordine chi è il genitore che dà la regola da chi è un educatore di secondo livello, ci tocca dire così. Non è per squalificare il compagno o la compagna della madre o del padre, ma dobbiamo ricordarci sempre che il papà e la mamma di quel bambino si sono separati e sono loro i riferimenti. Chi invece è il compagno o la compagna acquisito può essere un educatore, una figura di riferimento ma non può fare le veci del genitore perchè questo genera difficoltà di riconoscimento nei bambini, che a sua volta genera confusione.

D.: E poi si sentono dire “Tu non sei mio papà, tu non se mia mamma..” Il ragazzino dà una risposta importante…
Attenzione che sono poi bravi in adolescenza a dare questa risposta quando è conveniente però l’importante è aver fatto bene il lavoro prima, specificando “io non sono tuo padre ma vorrei dirti questo”.

I.: Una cosa poi da non sottovalutare sono tutti quei comportamenti che si ripetono dai genitori ai figli. Anche questo diventa un momento difficile per l’evoluzione da adulto. Ad esempio, un genitore iper-ordinato, è problematico anche quello?

D.: Siamo sempre all’interno dei disturbi d’ansia. Se non diventa un disturbo tanto meglio, siamo tutti più contenti, ma spesso rimane uno stile. Tutti noi possiamo dire sì effettivamente questa mia caratteristica è un po’ quella che aveva il nonno, lo zio, la mamma, il papà… Non siamo in realtà come la mamma o come il papà, ma in qualcosa siamo simili. Se la mamma o il papà avevano un aspetto più forte o addirittura patologico è chiaro che abbiamo un’elevata possibilità di acquisire anche noi quello stile e di tramutarlo in patologico. Un aspetto curioso che mi colpisce sempre molto è la superstizione che è un aspetto culturale e personale di cui si parla poco ma ha una trasmissione di generazione in generazione molto forte e la superstizione entra nella nostra capacità di anticipare gli eventi quindi entra nell’aspettativa e questo va ad inquinare spesso un campo che dovrebbe essere libero.

I.: Io ringrazio davvero molto il dottor Canil, per le sue esaurienti risposte e spunti di riflessione sul rapporto genitori-figli.

D.: Grazie a Lei.

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